“Rondini d’inverno” è il decimo romanzo della serie del Commissario Ricciardi, fortunato personaggio nato 

dalla penna e dall’estro letterario di Maurizio De Giovanni. Giunti a questo decimo libro e alla decima recensione 

potrebbe sembrare sempre più complicato trovare qualcosa da dire su questa serie. Eppure, non è così.

 In ogni romanzo si trova più di uno spunto di riflessione.

Il sottotitolo “Sipario per il Commissario Ricciardi”, unito alla prima citazione che ho riportato, accendono 

l’attenzione su questo nuovo capitolo della serie fin dal principio. Sembrerebbe giunta la fine per

 il tenebroso commissario della Regia Questura di Napoli? L’autore lascia il lettore in sospeso lungo tutto 

il racconto. Nel prologo citato e in alcuni intermezzi sapientemente inseriti nella narrazione, 

si assiste a una sorta di confessione di un protagonista anonimo nei confronti del brigadiere Maione.

 Chi ha sparato al commissario Ricciardi? In che senso? E quando è successo?

Il sipario è anche quello del teatro Splendor il luogo della tragedia su cui Ricciardi e Maione

 indagano in questa nuova avventura.

Michelangelo Gelmi, impegnato sul palcoscenico del varietà, la sera del 28 dicembre, uccide a sangue

 freddo la moglie e compagna di teatro Fedora Marra. Lo sparo è previsto dal copione. 

Ogni sera si ripete alla fine della rappresentazione, ovviamente con l’arma caricata a salve.

 Ma questa volta è diverso: la morte dell’attrice appare da subito troppo naturale e realistica; la macchia di 

sangue che si sparge sotto il suo torace non dà adito a dubbi. Il proiettile, questa volta, è vero.

 Gelmi ha sparato alla moglie proprio alla fine della rappresentazione, davanti a un pubblico sconvolto.


Come è potuto accadere? L’attore si dichiara subito innocente: ha materialmente sparato quel colpo, ma non avrebbe mai voluto. Qualcuno, secondo lui, ha voluto incastrarlo.

Il caso sembra banale e risolvibile in poche mosse: a maggior ragione quando negli abiti di scena di Fedora 

Marra viene ritrovato un biglietto d’amore, probabilmente indirizzato a una terza persona, il suo amante. 

I due non coltivavano più un amore profondo, e forse non lo avevano mai fatto. Il loro era un rapporto 

principalmente di convenienza, per la loro carriera di attori e gli ingaggi che i teatri della città di Napoli 

potevano garantire.

“L’amore e la fame” sono i due moventi principali negli omicidi, il commissario lo ha sempre sostenuto:

 anche in questo caso sembra proprio l’amore, trasfigurato in gelosia, ad aver mosso la mano dell’assassino.

Ma Ricciardi è convinto che la soluzione, come sempre, non sia così lampante. Crede nella disperazione di Gelmi

 e nel suo professarsi innocente.  Il “dono” del commissario, o la “maledizione” come la vede lui, 

torna prepotente. Lo spirito di Fedora ripete ossessivamente “Amore della mia vita, Amore della mia vita, 

Amore della mia vita”.

In una Napoli che ha smesso di essere sferzata da vento e pioggia, nei giorni tra Natale e Capodanno,

 aleggia un clima quasi primaverile intervallato da una nebbia spessa, un manto che tutto ricopre e avvolge.

I sogni ingannano, avvelenano, confondono. La nebbia nasconde la verità, ma non la cambia. Sogni e nebbia.

 Due elementi che si rincorrono nella narrazione. Due patine diverse, onirica l’una, materiale l’altra, ma capaci 

di modificare la nostra percezione.

Anche nella sua indagine Ricciardi sembra velato da una nebbia che non vuole sollevarsi.

 Come se la soluzione fosse a portata di mano, ma non visibile.

Lo stesso succede per i suoi sentimenti. Il rapporto con Enrica sembra essere giunto alla svolta decisiva.

Livia non rinuncia alle sue mire verso il bel tenebroso commissario, ancora tallonata dall’enigmatico Falco, 

per il quale svolge ormai il ruolo di spia.  Infine, Bianca la Contessa Palmieri di Roccaspina, sempre più rapita 

nei sentimenti per il Luigi Alfredo Ricciardi.

“Rondini d’inverno” è il terzo romanzo della serie delle canzoni napoletane. In questo caso le note che aleggiano sulla storia sono quelle di “Rundinella”. Ancora una volta è l’anonimo Maestro di musica, negli intermezzi tra un capitolo e l’altro, a dispensare le sue perle di saggezza e gli insegnamenti di vita a un giovane che si reca da lui per attingere quanto più possibile della sua Arte.


In questo libro l’indagine torna al centro della narrazione mentre il tormento di Ricciardi,
 a cui abbiamo assistito nei romanzi precedenti fare un passo indietro, come se avesse trovato
 una via di fuga 
lasciando una certa serenità al commissario. Una serenità che non riesce, però, a esprimersi nella
 sua completezza: 
la maledizione di Ricciardi è un ostacolo per lui insormontabile, non può aprire il suo cuore 
del tutto.

In parallelo all’indagine principale, una questione privata impegna Maione e il dottor Modo: Lina,

 la prostituta cara al dottore, viene portata in ospedale dopo un pestaggio che l’ha ridotta in fin di vita.

Lo stile di questo capitolo ricorda molto i primi libri della serie. La vena ironica di De Giovanni, riversata su Maione,

 Modo e lo stesso Ricciardi fa capolino in diversi passaggi che strappano più di un sorriso al lettore.

 Le storie dei personaggi si intrecciano ancora una volta: l’amore di un padre per la figlia, l’amore di un

 uomo per una donna, l’amore di una madre o di un’amante. I personaggi della serie risultano ormai necessari, 

definiti e famigliari. Ecco la grande qualità dell’autore: ancora una volta ha parlato di tutti noi attraverso

 la forza dei protagonisti.


La mia valutazione



Alla prossima
Luce <3