Le montagne sono al tempo stesso dei maestri
silenziosi che ci ricordano quando siamo piccoli e
insicuri, ed immense cattedrali di pietra pronte ad
accoglierci per proteggerci dalle nostre fragilità
Emil von Leiss
Trama
L’arrivo dello zelante avvocato Lukas Bauer nel pittoresco villaggio di Ozval, tra le montagne del
Sud Tirolo, scuote la tranquillità dei suoi abitanti.
Bauer è intenzionato a rintracciare un ragazzo di nome Emil von Leiss e risolvere il caso della sua
scomparsa. Ma quello che doveva essere un semplice incarico, acquista risvolti sempre più
enigmatici che faranno comprendere a Lukas il prezzo da pagare per proteggere quanto di più
prezioso custodiscono quelle montagne.
Un tesoro che Emil ha intenzione di preservare, trovando in Lukas un prezioso alleato che sarà
pronto a difenderlo, come gli edelweiss, i fiori meravigliosi che tanto decantano le leggende del
luogo, così ben custoditi che nessuno può coglierli senza morire.
Estratto
Capitolo Primo
Il villaggio dei silenzi
«Una manciata di case, alcune in ottimo stato, altre alquanto malmesse che mostrano i
segni del tempo e di una scarsa manutenzione, balconi fioriti, insegne scolpite nel legno, una
via principale, qualche vicolo laterale, nulla degno di nota...»
Il primo commento che Lukas fece al cellulare, scendendo dal suo superaccessoriato Suv,
sembrava essere senza appello, ma dall’altro capo il prolungato silenzio che seguì le sue
ultime parole poteva avere altri significati e Clara non dovette attendere molto per averne la
conferma.
Il giovane chiuse lo sportello dell’auto e si incamminò verso la via principale sorridendo.
«Tutto sommato fa piacere sapere che ci sono posti dove l’uomo non è riuscito a imporsi del
tutto sulla natura che lo circonda.»
«Me ne compiaccio» osservò la donna che dal suo imponente ufficio stava osservando il
panorama dei tetti di Vienna. Ai suoi occhi quella città riusciva ancora a conservare il suo
prestigioso passato imperiale e di questo ne andava fiera.
«Hai già deciso da dove iniziare le tue ricerche?» chiese giocherellando con un tagliacarte
d’argento che teneva sulla scrivania più per ragioni sentimentali che per un utilizzo pratico.
Quell’oggetto era un regalo di suo padre, realizzato da uno dei maestri orafi più noti del paese
e lo aveva ricevuto in regalo quando era riuscita nell’intento di fondare uno degli studi legali
più importanti della città.
«Inizierò a chiedere agli abitanti del posto e vedremo cosa ne ricaverò» rispose Lukas
fermandosi dinanzi a un negozietto di alimentari. «Mi auguro comunque che tutto questo non
sia una colossale perdita di tempo.»
«Potrai sempre goderti qualche giorno di riposo» replicò la donna suscitando nel suo
interlocutore una smorfia di fastidio.
«Avrei scelto di meglio. In questo paese c’è solo un piccolo albergo con una decina di stanze
e senza neppure il wi-fi in camera. Suppongo che ora dirai che mi hai preferito agli altri
collaboratori perché così almeno non sarò in ufficio ad assillarti.»
«Lukas Bauer, sei un eterno rompiscatole e sì, l’idea di non vedere la tua espressione
sempre imbronciata e supponente per un paio di giorni mi rasserena» ammise Clara
sprofondando nella comoda poltrona di pelle nera. «Sai bene che per quest’incarico non
potevo mandare chiunque. Tu eri al momento la persona più adatta. Tuttavia, vedi di non
montarti troppo la testa.»
«Non l’ho mai fatto» concluse il giovane salutando la donna. Infilò lo smartphone nella
tasca della giacca blu e si decise a entrare nel negozio. Percorse il corridoio delimitato da
alcuni scaffali bassi avendo la conferma di quel che aveva supposto poco prima: era una di
quelle piccole botteghe dove all’apparenza sembrava esserci di tutto riposto sui ripiani,
sebbene trovasse discutibile vedere delle confezioni di biscotti accanto a del detersivo in
polvere. Si avvicinò alla cassa, dove con sua sorpresa notò una giovane ragazza dai lunghi
capelli castani raccolti in una coda. Lei lo salutò con un sorriso raggiante non senza rimanere
sorpresa per l’abbigliamento di Lukas. Era assai insolito vedere entrare un uomo in un
completo blu con una vistosa cravatta regimental. «Posso fare qualcosa per lei?» domandò.
Lukas levò dalla tasca interna della giacca una fotografia porgendola alla ragazza. «Lei non
è di queste parti... il suo accento...»
«Vivo a Ovzal da quasi dieci anni.»
«Sto cercando questa persona. Mi hanno detto che vive da queste parti.»
La ragazza osservò per pochi attimi la fotografia volgendo poi lo sguardo a una donna
anziana che era appena entrata nel negozio salutandola. «No, non ricordo di averlo mai visto.»
«Ne è sicura? È molto importante che riesca a rintracciarlo» insistette Lukas ricevendo in
risposta un deciso cenno di diniego. «In questo paese siamo talmente in pochi che ci
conosciamo tutti. Temo di non poterle essere d’aiuto.»
Il giovane non si lasciò scoraggiare, riprese la fotografia dalle sue mani, posò sul banco un
biglietto da visita. «Se dovesse vederlo, la prego di chiamarmi.»
La sua espressione si fece interessata. Scorse il nome stampato sul biglietto e sorrise
ironicamente. «Uno studio legale di Vienna, ne ha fatta di strada per arrivare qui, peccato che
sia stato un viaggio a vuoto.»
«Non è ancora detto. Mi fermerò un paio di giorni, alloggerò nel vostro albergo, ammesso
che si possa definire tale» le rispose osservando un manifesto appeso dietro alla cassa.
«Festival degli Edelweiss... sembra interessante, anche se non ne so molto di fiori e piante,
non ho quello che si dice il pollice verde.»
«È una tradizione che c’è da molto tempo, ben prima che mi trasferissi qui. È una kermesse
dove si ricordano la bellezza e la particolarità di quei fiori, che molti chiamano stella alpina»
commentò la ragazza «è fortunato, se rimarrà qualche giorno lo potrà vedere con i suoi occhi.»
L’arrivo dell’anziana cliente che appoggiò sul banco della frutta pose fine al loro dialogo.
Lukas uscì dal negozio, ma per qualche strana ragione ebbe l’impulso di voltarsi di scatto. Fece
appena in tempo a notare le due donne che dalla vetrina lo fissavano con uno sguardo
tutt’altro che benevolo.
«Caro Lukas, hai già portato scompiglio in questo luogo dimenticato da Dio» annuì
riprendendo il cammino. Aveva immaginato che l’incarico che aveva ricevuto fosse qualcosa di
apparentemente semplice, ma con il passare dei giorni, mentre veniva informato su altri
aspetti di quella vicenda, si era fatto l’idea che quel compito nascondesse altre conseguenze
che non riusciva ancora a delineare. Del resto, anche Clara Gruber, suo superiore e socio
anziano era stata alquanto vaga quando l’aveva fatto chiamare nel suo ufficio per illustragli la
faccenda. Doveva solo trovare la persona le cui generalità e poche altre informazioni erano
indicate su quell’unico foglio con allegata una fotografia.
Varcando l’ingresso dell’albergo, dopo aver preso dall’auto il trolley, si appoggiò a un
grande bancone di legno massiccio sul quale era posato un vaso di fiori freschi che dava a quel
luogo un tocco di colore. Le pareti, tinte di un discutibile color aragosta, mal si abbinavano ai
mobili chiari della hall ma, a quanto pareva, non doveva essere così importante. Un uomo
robusto e con un’avanzata calvizie uscì da una porticina laterale e lo accolse fermandosi dietro
al bancone. «Benvenuto a Ozval, io sono Karl Rendulic» esordì con una voce nasale.
«Salve, ho prenotato una camera» disse Lukas mostrandogli un documento d’identità.
«Dovrei fermarmi un paio di giorni.»
«Avvocato Bauer, sì, la sua prenotazione era stata confermata da Vienna» annuì l’uomo
prendendo da uno stipetto la chiave della camera con appeso un vistoso numero tre scolpito
nel legno.
«Grazie, posso chiederle se ha visto questa persona qui in paese» replicò il giovane
mostrando di nuovo la fotografia.
«Mai visto. Perché lo cerca?» rispose telegrafico l’albergatore posando le mani sui fianchi.
«Questioni legali. Mi avevano dato informazioni che risiedesse qui ma a quanto pare
nessuno lo conosce» ammise prendendo il trolley. Dopo aver salutato l’uomo salì al piano
superiore. Tutto sommato la camera era meno opprimente di quel che aveva immaginato a
eccezione di quel quadro da mercatino dell’usato appeso sopra il letto che ritraeva un
panorama alpino. “Che senso aveva fermarsi a guardare quell’immagine se bastava scorgere
fuori dalla finestra le vere Alpi” pensò posando la valigia sul letto prima di allentarsi il nodo
della cravatta. Dalla borsa di pelle che portava sempre con sé, tolse l’incartamento con la
dicitura “Leiss” scritta di suo pugno con un pennarello. In quella busta aveva raccolto tutte le
informazioni che era riuscito a racimolare, ben poche per la verità. Per scrupolo tornò a
rileggerle. I suoi occhi, di un verde intenso, si posarono sulla copia della fotografia. Più la
osservava e più aveva la netta sensazione che ci fosse qualcosa che gli sfuggiva. Non era mai
stato un convinto sostenitore della prima impressione e faticava non poco, per mentalità e
carattere, a credere che certe intuizioni avessero un fondo di verità, ma stavolta non riusciva a
scacciare dalla sua mente quel pensiero ricorrente, ostinatamente alimentato dall’immagine
che fissava.
Le sue dita scivolarono su quel volto dai lineamenti delicati e ricercati al tempo stesso. Le
sue lunghe sopracciglia nere erano il preludio di uno sguardo profondo che lasciava trasparire
una sofferenza appena mitigata dall’intenso color bruno dei suoi occhi che in quel viso scavato
risaltavano ancor di più.