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«Molti di noi sono attratti dal mistero, da qualcosa
che non sempre è spiegabile razionalmente, comporre
il mosaico dell’ignoto non sempre è la cosa
più giusta da fare.»
Trama
Jacopo Corsi è un laureando in psicologia. Il suo incontro con Giorgio Viazzi, durante uno stage in una
casa di riposo, lo induce a visitare la località di Montisola sul Lago d’Iseo. L’anziano uomo lo ha
nominato erede di diverse proprietà sull’Isola, tra cui un cantiere navale e un terreno al centro di un
ambizioso e faraonico progetto edilizio.
L’arrivo del ragazzo provoca una piccola rivoluzione, accompagnata da giudizi e supposizioni. Egli non ha esperienza di come si conduce un’azienda che negli ultimi anni è stata gestita da un valente, quanto
egocentrico direttore che non vede di buon occhio la presenza di Jacopo, così come i Della Torre, una
coppia di amici di Giorgio che vogliono convincere il ragazzo a vendere il terreno ricevuto in eredità.
Tuttavia, tra le tante persone che si dimostrano poco amichevoli, Jacopo incontrerà Gabriele, capitano di un battello turistico che non nasconderà il suo interesse verso di lui, spronandolo a prolungare il suo soggiorno per conoscere meglio l’isola che lo ha visto nascere e che è certo potrà riservargli molte piacevoli sorprese.
Una vecchia storia, che si tramanda di generazione in generazione, una presenza impossibile ed arcana, che sembra essere tornata per proteggere l’isola e i suoi abitanti, e un tenero amore, accompagneranno le avventure di Jacopo sulle acque del lago, dando vita ad una nuova leggenda.
Estratto dal Capitolo Primo
Le pietre emergevano dalle acque, innalzandosi fiere verso il cielo terso, come a voler testimoniare che la loro presenza era indissolubilmente legata a quei luoghi e intrecciata alla loro storia. Lo scorrere del tempo tentava di sopraffarle, ma da quel lungo duello, l’isola di San Paolo con la sua misteriosa villa, racchiusa in un giardino in cui convivevano pini, larici e piante esotiche, sembrava ancora uscirne vincitrice. Quella costruzione non avrebbe sfigurato in un qualsiasi film storico. Il panorama trasmetteva a Jacopo sensazioni contrastanti, che andavano dal semplice stupore a una velata malinconia.
Si appoggiò al corrimano, fissando le merlature della cinta che circondava l’isola, proprietà privata da decenni, che scorrevano davanti ai suoi occhi verdi mentre il battello iniziava ad allontanarsi dall’isolotto. Si voltò, sistemandosi gli occhiali tondi, per guardare il ponte deserto. Era uno dei pochi passeggeri saliti a bordo dell’imbarcadero, e del resto non c’era da stupirsene: a quell’ora del mattino non dovevano essere molti ad avere la necessità di attraversare quella parte del Lago d’Iseo. Pertanto, poteva godersi il breve tragitto e ammirare le particolarità del battello. Non avrebbe immaginato che fossero ancora in funzione piroscafi a pale, e il suo stupore aumentò non appena vide gli interni in perfetto stile liberty, con poltrone e divani in cuoio rosso.
«Sembra di essere tornati indietro nel tempo» ammise il ragazzo riportando lo sguardo al lago che il battello fendeva con eleganza, diretto a Montisola, la più grande delle isole di lago dell’Europa meridionale.
«Fortunatamente il vecchio Concordia è ancora in ottima salute, nonostante la sua età» udì alle sue spalle.
Jacopo si voltò repentino e notò un uomo che lo salutava con un sorriso gentile. Aveva folti
capelli ricci, neri come gli occhi, ed era impeccabile nella sua uniforme estiva. Sul taschino
della camicia azzurra il ragazzo notò il tesserino di riconoscimento, e la sua buona vista gli
fece scorgere la parola “Capitano”, che lo mise a disagio.
«Lei è il...» tentennò Jacopo.
«Capitano Gabriele Corsi. Benvenuto a bordo» annuì l’uomo, allungandogli la mano.
«Grazie» rispose il ragazzo, stringendogliela. «La sua nave è davvero stupenda» soggiunse, guardandosi attorno.
«Il Concordia è stato costruito nel 1926 e restaurato qualche anno fa. Può trasportare fino a cinquecento persone in crociere che attraversano tutto il lago.»
«Anche se oggi c’è molto spazio» sorrise Jacopo.
«Dovresti essere qui nei week end, o durante la stagione estiva. A volte mi chiedo come possa essere così veloce con tutta quella gente a bordo» osservò Gabriele.
«Ah, capisco. Allora sono fortunato: posso godermi ogni particolare della sua bella nave.»
Jacopo si sedette su una panchina e vi posò lo zaino che aveva con sé. Distese le gambe, ispirando profondamente l’aria salmastra e assaporando quei momenti di quiete.
Immaginò che il suo prossimo arrivo non sarebbe stato accolto con lo stesso entusiasmo che quell’uomo gli aveva mostrato, e del resto non poteva aspettarsi qualcosa di diverso.
Anche lui, in fondo, si sentiva come un pesce fuor d’acqua in quei luoghi che non aveva mai visto prima. Ancora si domandava come si fosse lasciato convincere ad andare fin lì.
Probabilmente si era sentito in dovere di onorare la memoria di quel caro amico che aveva voluto fargli un enorme regalo, non pensando che lui avrebbe faticato ad accettarlo. La sua mente prese a vagare, ritornando a quel pomeriggio che avrebbe dovuto essere come tanti altri.
Entrando nella stanza di Giorgio, Jacopo notò un bellissimo mazzo di rose bianche posato sul letto, con accanto una busta.
«Sono per te» disse l’uomo uscendo dal bagno, mentre si sistemava la giacca da camera color bordeaux. Sul taschino era stata cucita una piccola ancora su cui era attorcigliata una rosa bianca.
«Grazie, ma non capisco» disse Jacopo.
L’uomo, che aveva festeggiato gli ottantacinque anni pochi giorni prima, raccolse il mazzo di rose e, col suo solito sorriso bonario, le porse al ragazzo. «Penso sia giunto il momento di farti una piccola confessione... Spero che non me ne vorrai.»
«Beh, dipende. Ho la strana sensazione che tu voglia farti perdonare, anche se non capisco per quale motivo» osservò Jacopo, odorando le rose.
«Ecco, non sono stato molto onesto con te sul mio passato» riconobbe l’uomo, che nonostante l’età sfoggiava una folta capigliatura canuta. Inforcò gli occhiali che aveva lasciato sul comodino e se li sistemò sul naso. Osservò l’espressione smarrita del ragazzo, che nei mesi passati gli aveva fatto compagnia in molti pomeriggi, allietandoli con lunghe chiacchierate su argomenti di diversa natura.
«So che non mi resta molto da vivere. Il mio vecchio corpo inizia a cedere, ed è ormai questione di poco prima che io possa chiudere definitivamente gli occhi e riposarmi.»
«Devo rimanere qui ad ascoltare il tuo epitaffio? Non è che mi faccia molto piacere, e poi...» La mano sollevata dell’uomo gli impedì di proseguire. Aveva immaginato di trascorrere qualche ora conversando affabilmente, e invece le sue aspettative si erano infrante per via di quell’esordio tutt’altro che rassicurante. Si massaggiò il mento sospirando, in attesa che Giorgio proseguisse.
«Vent’anni fa ho fondato un cantiere navale sul lago di Iseo, un piccolo investimento che oggi è divenuto una florida attività. Negli ultimi anni mi sono ritirato, lasciandone la gestione a persone fidate, ma oggi penso che quello che ho costruito debba essere consegnato a qualcuno che sono certo amerà quei luoghi e farà di tutto perché la loro magia non venga svenduta per questioni economiche e di interesse. E credo che tu sia la persona giusta.»
Jacopo non riusciva a credere alle sue orecchie. Ora tutte quelle storie sul lago che aveva udito nei giorni passati dall’uomo iniziavano a comporre un mosaico ben definito.
Scosse il capo, battendosi la mano sul petto. «Senti, io ti ringrazio, ma non ne so nulla di affari. Come credi che possa cavarmela? Insomma, sto studiando Psicologia e mi manca poco alla laurea. Non penso di essere la persona che cerchi.»
Giorgio si accomodò nella sua poltrona, davanti alla portafinestra che dava sul giardino.
Quante volte aveva assistito al tramonto e al sorgere del sole, immerso nei ricordi della sua
gioventù. Lui e la moglie erano stati sposati per oltre cinquant’anni, un’unione perfetta, fatta
di comprensione e di stima reciproca, ma non avevano potuto avere figli. Con Emma aveva
condiviso tante gioie e aveva battezzato con il nome di lei il primo battello che aveva varato,
destinato al trasporto passeggeri lungo il lago.
«Non cerco qualcuno che ne sappia di affari... io vorrei solo...» Giorgio sospirò,
cercando le parole più adatte per quello che gli albergava nel cuore, qualcosa che da tempo
voleva condividere con quel ragazzo che un giorno si era presentato dinnanzi alla porta
della sua stanza per un breve colloquio.
Jacopo si era presentato a lui come un laureando in Psicologia alla ricerca di persone a cui
far compilare un questionario. Dopo pochi minuti il giovane aveva messo da parte quei fogli
e si era ritrovato a chiacchierare con Giorgio. Da quel giorno i loro appuntamenti giornalieri
erano divenuti una costante ai quali nessuno dei due voleva sottrarsi. Jacopo accompagnava
l’anziano in lunghe passeggiate nel giardino della casa di riposo oppure tra i negozi del
centro, gustando insieme a lui un gelato o facendo piccoli acquisti. Dal nulla tra loro era
nata un’amicizia, nonostante appartenessero a generazioni lontane, cresciute in mondi
diversi, e nonostante lo scorrere del tempo li avesse plasmati tanto da renderli a volte
persino alieni l’uno agli occhi dell’altro. Ma quella diversità svaniva quando si ritrovavano a
conversare sui veri valori della vita e sull’amicizia.
«So di non averne il diritto, ma in questi mesi mi sono crogiolato nel pensiero che tu
potessi essere il figlio che non ho mai potuto avere. Lo sai, la prima volta che ti ho visto mi
sono lasciato guidare dal pregiudizio» ammise l’uomo, invitandolo con la mano ad
avvicinarsi.
«Beh, posso immaginarlo» sorrise imbarazzato Jacopo, accostandosi alla poltrona.
«Lo so, a volte mi scambiano più per un teppistello ribelle che per un futuro psicologo»
proseguì toccandosi il piercing d’argento che sovrastava la palpebra destra.
«In effetti... hai una bella collezione.» Giorgio indicò i due orecchini al lobo sinistro.
«Ma se c’è una cosa che ho imparato è di non giudicare mai dalle apparenze, sebbene a volte
ci inducano a credere di essere dalla parte della ragione.
Jacopo si posò le mani sulle ginocchia, sfregandosele ripetutamente. «Hai detto che
per tutti questi anni sono state delle persone fidate a gestire i tuoi beni. Perché ora pensi che
debba essere io a farlo?»
«Non ti ho detto che dovrai farlo, non in prima persona. Francesco Danieli, il direttore,
potrà restare al suo posto e occuparsi dell’azienda, ma non ho intenzione di lasciare a lui la
proprietà. Tuttavia, converrai che sarà necessario che tu, prima o poi, dia un’occhiata a
quello che ho intenzione di lasciarti. Nella busta c’è una copia del mio testamento:
conservala, e quando sarà il momento, il mio legale farà i passi necessari.»
Recensione
Ho letto questo romanzo M/M in anteprima; ancora una volta l'autore riesce a fare breccia nel cuore dei lettori con una storia decisamente fuori dal comune.
"La leggenda dell'erede", ultima fatica (per ora) di Cristiano Pedrini ha per protagonista un ragazzo di nome Jacopo che fa la conoscenza di un marinaio di nome Giorgio, al quale Jacopo ricorda il figlio mai avuto, ed ecco perché gli lascia in eredità la terra che gli apparteneva, su un'isola dove le leggende, a volte, diventano realtà.
Man mano che leggiamo, scopriamo i tentativi di Jacopo di farsi ben volere dagli abitanti dell'isola, ma c'è chi trama nell'ombra, per costruire un resort, proprio sul terreno ora di proprietà di Jacopo, e i tentativi di farselo amico, per venderlo, raggiungono un livello decisamente troppo alto; il protagonista però, fa anche amicizia con un bambino che gli narra la leggenda del drago che ha creato il lago dove vanno a fare il bagno e in più trova anche qualcuno di speciale che vorrà fare parte della sua vita, costi quel che costi.
In sostanza la leggenda dell'erede è sì, un romanzo M/M, ma anche una sorta di fantasy, che da modo al lettore di andare molto in là con la fantasia.
La mia valutazione
Luce <3
«È la prima volta che pranzo a bordo di un battello. Mi sento davvero fortunato, è tutto così… così perfetto» ammise il ragazzo, assaggiando il pesce che aveva nel piatto, mentre Gabriele gli versava il vino.
«La Società di Navigazione del Lago tiene molto ai suoi passeggieri.»
«Vuoi dire che coccolate tutti allo stesso modo?» rise Jacopo.
«Ci proviamo. Però con alcuni stiamo particolarmente attenti.»
“Vuoi vedere che lui sa che io…” Quel pensiero attraversò fulmineo la mente del giovane, che suppose di essersi tradito in qualche modo. Posò le posate sul piatto, ripulendosi le labbra con il tovagliolo di lino bianco.
«Tu, sai chi sono?» Quella domanda suscitò in Gabriele una evidente perplessità.
«No. Adesso che ci penso, non so neppure il tuo nome…»
Jacopo sospirò, rassicurato. Alzò gli occhi al soffitto, perché per tutto quel tempo non aveva neppure pensato di presentarsi. «Cavolo, scusami… mi chiamo Jacopo Corsi, lieto di conoscerti» gli disse alzandosi, finendo con lo sbattere le ginocchia contro la gamba del tavolo.
«Il piacere è mio. Gabriele Bassetti» replicò l’uomo, stringendogliela. «Però è curioso, quando mi hai chiesto se sapessi chi tu fossi, davi l’impressione che avrei dovuto conoscerti.»
«No, pensavo che… insomma, io non sono quello che potresti pensare.»
«Sei un ragazzo davvero enigmatico. Però sei simpatico» rise Gabriele, sorseggiando il suo vino.
“Bene Jacopo, stai facendo la figura del perfetto idiota” pensò il ragazzo, sedendosi di nuovo.
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