TESORO D’IRLANDA
Manuela Chiarottino
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IN VENDITA DAL 13 MARZO 2020
ebook €2,99 pp. 278
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Trama
Non sempre il cuore
ha radici nel luogo in cui vive, ed Eillen lo sa bene.
Cresciuta con suo
padre fin dalla tenera età, subendo l’abbandono della madre, la giovane
frontwoman di un gruppo celtico è ormai una donna adulta con grandi ambizioni
ma che non ha ancora incontrato l'amore.
La terra verde
della sua infanzia sembra di nuovo chiamarla a sè, giorno dopo giorno.
Ogni particolare
conduce i suoi passi sulle tracce dell’isola, e l’incontro con Fosco, un uomo
taciturno e affascinante, la turba fino a costringerla a mettere tutto in
discussione, dal cuore alla ragione.
E se avesse avuto
sempre ragione sua madre, mentre narrava di fate dei boschi e magie d’altri
tempi?
E se l’amore
prescindesse la realtà, scegliendo vie a volte surreali, ma altrettanto vivide?
Dall'autrice
dell'indimenticabile La bambina che
annusava i libri una nuova storia dalla forza di un amore incontenibile.
Estratti
Estratto 1
Eileen si sistemò sul sedile, poggiò la testa contro l’imbottitura e cercò di rilassarsi.
Invano. Si sentiva euforica e inquieta, era impossibile chiudere gli occhi o smettere di
pensare. Si stava abbeverando di ogni particolare che i suoi occhi potevano catturare: i
verdi prati, le mucche al pascolo, le scogliere che apparivano dietro la curva, e poi il
mare, così uguale e così profondamente diverso da quello che vedeva ogni mattina al
risveglio.
Osservò le onde infrangersi contro le rocce, la sabbia rossiccia, e come per incanto i ricordi la sommersero, ricordi di quando era bambina e che credeva di aver accantonato per sempre negli angoli più bui della mente. Le corse nei prati, mano nella mano con la madre, le risate sulla spiaggia col naso all’insù per controllare l’aquilone colorato che il padre le aveva regalato per il compleanno. E poi l’estate nel paese materno, le cene davanti al camino, i vecchi seduti fuori dal bar, le ragazze che danzavano con le scarpe a punta e le coroncine di fiori, i profumi.
E infine eccola: Waterville.
Le casette che costeggiavano la strada, come torte di marzapane dai colori sgargianti, si ergevano impettite verso il cielo grigio. Il verde dei prati, tutt’intorno, aveva qualcosa di insolito e magico, mentre una brezza leggera si alzava e portava con sé il profumo della terra e del mare.
Scesa dal pullman, Eileen rimase immobile a inspirare gli odori nuovamente familiari: gli occhi chiusi, le mani sulla valigia.
«La signorina Eileen O’Gallagher… Scalzi?» chiese l’uomo, prima usando il cognome di Caitlin e poi quello del padre, in un italiano stentato.
Eileen aprì gli occhi e si trovò davanti un uomo dal sorriso bonario, le guance paffute e arrossate, i capelli color paglia che spuntavano da un berretto color castagna, così come i pantaloni di fustagno e gli scarponi.
Annuì, e insieme s’incamminarono fino all’hotel, un edificio giallo canarino, l’insegna che si muoveva, cullata dalla brezza della sera. Non vedeva l’ora di farsi una doccia calda e soprattutto di rimanere qualche attimo da sola per rendersi conto davvero di dove fosse.
Aprì la finestra e un cielo trapuntato di stelle che si confondeva con l’oceano la meravigliò. Inspirò l’aria e una lacrima cadde dopo averle rigato la guancia: non solo quello era il luogo dove aveva trascorso parte della sua infanzia, ma anche quello in cui aveva visto la madre per l’ultima volta e dove erano state disperse le sue ceneri. Perché, perché non l’aveva voluta vicina almeno negli ultimi mesi, giorni, attimi? Perché non darle almeno una tomba su cui piangere?
Si ravviò i capelli e scese per mangiare qualcosa; non doveva cedere a quel groviglio di emozioni che le stringeva il petto, o non sarebbe riuscita ad andare fino in fondo.
Nel salone non c’era molta gente, alcuni uomini discutevano di fronte a piatti di agnello stufato, il cosiddetto Irish Stew; Eileen aveva sentito l’odore delle cipolle, del timo e del prezzemolo fin dalle scale.
Era nella sua seconda casa.
estratto 2
Eileen stava passeggiando al limitare del bosco, lungo un sentiero i cui bordi erano frastagliati da piccole macchie bianche e viola che spuntavano tra l’erba alta. Erano i gigli del Kerry, una pianta che sapeva si trovasse solo lì, glielo aveva spiegato un giorno su padre e Caitlin aveva aggiunto che era un fiore delicato, ma selvatico. Chissà perché, ora le venivano in mente quelle cose.
Si fermò ad accarezzarne uno, chinandosi per sentirne meglio il profumo, e i petali, arricciati e candidi, le solleticarono il naso. Accanto, scorse un altro fiore selvatico dal profondo colore violaceo. Si sforzò di ricordarne il nome e alla fine anche quel frammento della sua infanzia tornò facilmente alla mente: era la Damigella scapigliata, un nome insolito che ai tempi l’aveva fatta molto ridere.
L’Irlanda era rivestita di fiori, dalle montagne al mare: l’isola di smeraldo non era che un immenso bouquet variopinto.
Anche lungo il muretto che circondava la casa crescevano i ghiottoni del terreno, erbacce che sua madre raccoglieva per usare i piccoli boccioli gialli nel preparare infusi vari che sarebbero serviti per i problemi di stomaco o i mal di pancia mensili. Già, sua madre e le erbe. Lei che la accompagnava a raccoglierle, suo padre che scuoteva sempre la testa e metteva in tavola un’aspirina. Ogni volta Caitlin rimetteva le compresse nel cassetto, sbuffando.
Si rialzò e inspirò l’aria intorno, un profumo di salsedine confuso con il dolce dei fiori e altri odori portati dal vento.
Si sentiva bene, si sentiva a casa e nello stesso tempo provava nostalgia del suo appartamento in Toscana, di Paola, degli amici, della stanza e tutte le sue cose, persino di Braveheart. E poi, certo, di Fosco.
All’improvviso sentì un fruscio nell’erba alta, volse lo sguardo e le sembrò di vedere qualcosa muoversi e correre via, ma non riuscì a capire che animale fosse. Una lepre, un gatto, un cagnolino sperduto? Rimase ancora qualche secondo a fissare il prato in quella direzione, ma non vide nulla; le parve però di sentire come un lontano suono di campanellini, sicuramente portati dal vento che ora era più forte e trascinava con sé nuvole grigie, pronte a cambiare velocemente forma. Da lì a poco sarebbe piovuto ed Eileen si decise a tornare indietro; si era spinta abbastanza lontano e non c’era nessuno che potesse soccorrerla in caso di bisogno. Fu quando lasciò il sentiero e arrivò sulla strada che vide passare un furgone. Nel conducente riconobbe quell’uomo dal giaccone verde, inconfondibile per il berretto colorato, che aveva scorto varie volte negli ultimi due giorni. Ancora una volta, ne vide solo la schiena. Possibile che lo vedesse ovunque?
Certo, il paese non era enorme, eppure avrebbe detto che la stava seguendo.
Rientrò guardandosi intorno, un poco sconsolata: era stata davvero una buona idea dormire lì da sola?
Questa volta il fruscio era alle sue spalle e per poco non la fece urlare. Poi lo vide: un gatto nero, dagli occhi gialli, la coda dritta e il musetto puntato all’insù, verso di lei.
estratto 3
S’incamminarono lungo il viale che costeggiava la spiaggia, nella parte più riparata, a
ridosso delle case.
«Fosco, volevi parlarmi di qualcosa?»
«Stiamo parlando.»
Eileen mise le mani sui fianchi, pronta a ribattere, ma si smarrì un istante di troppo in quegli occhi profondi che sapevano confonderla del tutto. Quell’uomo era impossibile.
Se quello era un tentativo di corteggiamento, non era certo dei migliori, però Eileen neanche poteva mentire a se stessa dicendo che non fosse felice di essere lì con lui.
«Perché sei venuto al concerto?»
«Mi hai invitato e volevo sentirti cantare» replicò, e sembrò rimanere senza parole. «Hai una voce sensuale» mormorò. «Tutto in te è…» così dicendo le sfiorò una guancia, in un modo così delicato che Eileen sentì un brivido, e non era certo per la brezza che arrivava dal mare lambendo i loro visi.
Si avvicinò di più a lui. Desiderava che le cingesse la vita e la tenesse stretta, voleva sentire il calore del suo corpo e assaggiare le sue labbra. Ecco, questo era ciò che voleva.
Fosco rimase immobile; non avrebbe saputo dire se fosse impacciato, terrorizzato o semplicemente indifferente, ma continuò a indagare il suo sguardo e si avvicinò ancora di un passo. Fosco socchiuse per un istante gli occhi.
«Hai un buon profumo, Eileen, lo sento da qui. Credo che se infilassi il naso tra i tuoi capelli e scendessi lungo il collo, mi perderei. Sai di prati in fiore e di spiagge assolate.»
Lei deglutì. Se quello non era un preludio a un bacio, cos’altro poteva essere? Eppure rimaneva rigido e distaccato, e quando indietreggiò di un passo, vide quell’invisibile legame spezzarsi.
«Forse sei troppo per uno come me» mormorò lui con voce roca, «e forse è già tardi. Ti accompagno a casa?»
«A casa?» chiese stralunata.
La collera, unita a una leggera eccitazione, aveva colorito le guance di Eileen nonostante l’aria fredda che ormai soffiava impetuosa.
«Davvero non ti capisco. E non capisco cosa vuoi da me.»
«Conoscerti. Annusarti.» Sul suo volto apparve un largo sorriso. «Se vuoi sentirti dire che mi piaci, credo che tu questo lo sappia già. Ma io non sono più…» Scosse la testa e il sorriso riprese quella certa strafottenza con cui l’aveva accolta il primo giorno. «Direi che sono fuori allenamento e che rischierei di rovinare tutto. Non è ancora il momento.»
Quelle parole invece di placarla la innervosirono ancora di più. Quell’uomo era un groviglio di paure e contraddizioni, e non voleva stare a quel gioco.
Gli strappò di mano il tamburo. «Bene. Allora credo sia ora che io vada a casa!»
«Ti accompagno.»
«Non ce n’è affatto bisogno, pochi metri e arrivo al mio palazzo. Credi che non sappia cavarmela?» ribatté fiera, come se avesse bisogno di rimarcare i confini prima di scivolare di nuovo in quella nebbia calda e languida che permeava intorno a lui e che la faceva sentire troppo vulnerabile.
«E tu avresti solo mezzo sangue irlandese? Ti inebri come sotto l’influsso di una coppa di vino rosso e ti incendi come un fuoco che divora un pagliaio in pochi secondi» commentò, non senza ironia. «In ogni caso» continuò risoluto, «ti accompagno, a costo di seguirti. Che tu lo voglia o no.»
Eileen lanciò saette dagli occhi e s’incamminò a passo deciso, con Fosco che la seguiva con le mani in tasca, testardo e scuro in volto. Continuarono così per alcuni metri, poi fu lei a cedere.
«È ridicolo» sbottò, e si voltò verso di lui, in un tacito invito.
«Adesso posso lasciarti» disse subito Fosco appena arrivati e si girò per andarsene, senza un bacio o una parola in più.
Questo bastò per farle ribollire il sangue nelle vene.
«Te ne vai così?»
Si girò con un’espressione stupita e un’ineguagliabile faccia da schiaffi, tanto che ebbe la tentazione di mollarlo a sua volta, senza nemmeno un cenno. Ma lui avanzò deciso e si arrestò a pochi centimetri da lei. Protese il viso e lo insinuò nell’incavo del suo collo, come volesse inspirare il suo odore, accarezzandole la pelle a fior di labbra, con un tocco quasi impercettibile.
«Sì, hai un odore buonissimo. Me ne porto via un po’ per questa notte. Forse mi basterà per sognarti.»
Così dicendo se ne andò, senza più voltarsi.
Anche lei avrebbe saputo cosa sognare, quella notte.
Vincitrice del concorso Verbania for Women 2019, nella scrittura ama il
genere rosa, declinato in diverse sfumature. Per More Stories ha già pubblicato
La bambina che annusava i libri,
disponibile su amazon.it e sul programma Kindle Unlimited.
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