Buongiorno e bentornati sul blog con la recensione di una miniserie tv tutta italiana, che trovate disponibile su raiplay
Titolo: La baronessa di Carini
Paese: Italia
Anno: 2007
Formato: miniserie tv
Genere: drammatico, giallo, in costume
Durata: 200 minuti
Lingua originale: italiano
Informazioni
La baronessa di Carini è una miniserie televisiva italiana diretta da Umberto Marino e andata in onda per la prima volta il 14 ottobre e 15 ottobre 2007 su Rai Uno.
La miniserie è un remake dello sceneggiato TV del 1975 L'amaro caso della baronessa di Carini, con Ugo Pagliai, Janet Agren, Adolfo Celi ed Enrica Bonaccorti.
Trama
Sicilia, 1860. Laura viene data in sposa al barone di Carini, don Mariano La Grua, uomo violento e prepotente. La vita della giovane baronessa sembra destinata all'infelicità fino all'incontro con Luca Corbara, il quale giunge in Sicilia alla ricerca delle proprie origini, rappresentate da un medaglione sul quale è inciso un nome dall'oscura provenienza (Vernagallo).
Accompagnato a Carini da Enzo Santelia, suo vecchio amico, Luca viene a conoscenza della vicenda avvenuta trecento anni prima nel castello abbandonato dove l'allora baronessa venne uccisa dopo essere stata scoperta in compagnia del proprio amante. Quella tragica storia sembra ossessionare Laura, la quale è spesso preda di incubi e malesseri che le avvelenano l'esistenza. Luca la convince a farsi curare da un medico, l'eccentrico don Ippolito, che la sottopone ad alcune sedute d'ipnosi, durante le quali Laura sembra rivivere la tragica sequenza della baronessa uccisa, come in preda a una reincarnazione. Luca rifiuta l'idea che tra la “sua” Laura e quella donna uccisa tre secoli prima possa esserci un legame e, innamorato della baronessa, decide di fuggire con lei.
In procinto di lasciare Carini, Luca viene però catturato dai "Beati Paoli", un'inquietante setta segreta capitanata da un misterioso individuo che nasconde il proprio volto sotto un cappuccio nero. Accusato dell'omicidio di un cantastorie, Luca si proclama innocente e riesce a fuggire rifugiandosi presso l'amico Santelia. In occasione di un ballo, riesce finalmente a riabbracciare Laura. Per i due giovani amanti si riaccende la speranza: forse possono ancora fuggire imbarcandosi su una nave in procinto di salpare dal porto di Palermo. Ma all'ultimo momento il piano va in fumo e Luca non può far altro che tornare a Carini. Laura teme per la vita di entrambi ed insiste col dire che anche loro verranno scoperti e uccisi come i due amanti del cinquecento. Frattanto la dama di compagnia della baronessa, Cristina, scoperta la passione tra Laura e Luca, tende una trappola alla donna inducendola a dirigersi verso l'antico castello dei La Grua, inseguita di nascosto dal marito. Luca invece, volendo scoprire cosa davvero fosse successo ai suoi antenati, con l'aiuto di Ippolito viene sottoposto ad ipnosi, rivivendo così l'atto dell'uccisione degli amanti. Dopo essersi svegliato dallo stato ipnotico, Luca, ascoltando una breve discussione tra il parroco di Carini e il medico, apprende la notizia che Laura sta dirigendosi verso il castello inseguita da don Mariano, bramoso di vendetta, e decide così di scappare dallo studio di Ippolito per salvare la donna amata: è il 20 maggio 1860, giorno in cui 300 anni prima si consumò la sanguinosa vicenda di Laura e Ludovico. Arrivata al castello, Laura ritrova Luca ma, seguito dalla donna, entra Don Mariano che, sguainata la spada per lavare il disonore, ingaggia con Luca un duello all'ultimo sangue. Durante la lotta tra i due uomini, una torcia cade su di una tenda della stanza dell'antica baronessa, facendo divampare così un incendio. Luca riesce a colpire a morte il suo avversario che quindi cade sul pavimento esanime. A seguito di ciò, i due giovani cercano di scappare ma l'uscita viene bloccata dalla caduta delle travi del soffitto a causa dell'incendio. Memore però della seduta ipnotica che l'ha visto protagonista, Luca trova, sul muro dove la baronessa aveva lasciato la propria impronta insanguinata, una porta segreta che doveva fungere da via di fuga per gli antichi amanti. Aprendo il passaggio, i due riescono a sfuggire alla morte ritrovandosi in un corridoio che li porterà oltre le mura del castello. Ormai liberi e sempre più innamorati, Luca e Laura posso amarsi liberamente coronando allo stesso tempo il sogno d'amore della povera baronessa e del suo amante.
Recensione
La rivisitazione in parte ripercorre l’intreccio divenuto celebre a suo tempo e in parte se ne distacca. Gli eventi si svolgono ai tempi della Spedizione dei Mille invece che all’inizio del diciannovesimo secolo, in modo da poter introdurre la vicenda in un momento particolare di grande caos e cambiamenti. I protagonisti sono ancora una volta Luca Corbara ( Luca Argentero) discendente del nobile Vernagallo, la baronessa Laura (Vittoria Puccini) giovane maritata per saldare un debito al prepotente barone don Mariano La Grua (Enrico lo Verso). Attorno al prevedibile triangolo amoroso ruotano le figure del medico mesmerista Don Ippolito (Lando Buzzanca), dell’ambiguo Enzo Santelia (Simone Gandolfo).
A riscrivere il soggetto c’è nuovamente Lucio Mandarà, già autore della prima stesura. La nuova versione modifica profondamente i personaggi, e sviluppa la vicenda esasperando sia il romanticismo, sia il paranormale. Corbara e Laura non erano due stinchi di santo nella versione del 1975: Corbara sapeva d’esser discendente del nobile ucciso, Laura era una gentildonna annoiata, stufa di un marito vecchio, grasso, borioso. Il calcolo economico del Vernagallo e la lussuria della bella giovane emergevano poco alla volta, spengendo pian piano il romanticismo e il senso del dramma destinato a ripetersi ciclicamente. Nel 2007 sono sostituiti dalla passione che divampa inarrestabile tra un giovane cartografo scappato dallo Stato Pontificio dopo essere stato sfidato a duello ed aver ferito il nipote del Papa, e una nobildonna ceduta dal padre a un Barone impetuoso e violento in cambio della cancellazione dei debiti.
Non è però soltanto un’ennesima storia d’amore in costume, poiché gli elementi paranormali stavolta sono esasperati, come è comprensibile e anche necessario. Sarebbe stato abbastanza superfluo riproporre le stesse scene, adattare la vecchia sceneggiatura e ottenere un restyling esclusivamente estetico, oppure calcare la mano sull’erotismo. Tra l’altro le sequenze della morte dei due amanti nella versione del 1975 avevano già una forte carica di sensualità, con la baronessa in camicia da notte mezza trasparente e il Vernagallo in calze scarlatte che lasciavano poco all’immaginazione. Era difficile poter ammiccare all’eros in modo più esplicito e poter mandare in onda la miniserie in un orario di prima serata. Nel passato il montaggio aveva fatto il capolavoro di riproporre in versioni diverse la scena del delitto, in modo da rivelare poco a poco agli spettatori la terribile verità. Nel 2007 invece la scena fa parte delle visioni della giovane Laura che vive esperienze da sensitiva. La rivisitazione ripropone la scena intervallata da lampi, e l’ipotesi di una reincarnazione dei due amanti uccisi a metà 1500 si fa assai più concreta. La possibilità di avere due anime destinate a ripercorrere lo stesso dramma, come prigioniere di un loop spaziotemporale o di una punizione divina viene suggerito allo spettatore da Don Ippolito Oltre ad affittare la camera a Luca è un medico ipnotista che ha vissuto in prima persona i moti del 1848. Non si espone più direttamente alle ire della nobiltà, e vive aiutando la povera gente. Grazie alle teorie di Mesmer dà una spiegazione sovrannaturale ai deliri e alle visioni di Laura. Poco a poco anche Luca si convince di aver già vissuto in un’altra epoca, ed essere il Vernagallo della ballata!
Con due protagonisti così diversi anche l’epilogo abbandona i toni tragici, per aprirsi all’ottimismo. Permangono gli intrighi della setta segreta dei Beati Paoli, ci sono delitti e violenze perpetuare da Don Mariano ed esibite in modo più esplicito, c’è la struggente ballata a fare da fil rouge, e compare anche la famosa mano insanguinata impressa sulle pietre della parete, tuttavia l’impostazione risulta diversa e per molti aspetti opposta. Invece di due figli dei loro tempi e della loro classe sociale, probabilmente crudeli come e quanto il Barone, ci sono due vittime che scoprono l’amore e che si ribellano al destino che altri hanno scelto per loro. Sono personaggi positivi e meritano un premio invece dell’ineluttabile punizione.
Il cast, rispetto alla vecchia versione, riserva qualche delusione ma anche qualche inaspettata sorpresa. Vittoria Puccini richiama il suo personaggio più celebre, l’Elisa di Rivaombrosa interpretata in due celebri miniserie, e rispetto a Janet Agren è decisamente più a suo agio. Nonostante tutto l’affetto per lattrice degli anni Settanta, c’era da aspettarselo. La Agren era bellissima, una modella che ha per caso recitato in qualche film neppure di primo piano, mentre la Puccini è un’attrice, sebbene impegnata soprattutto in fiction nostrane e con qualche rara incursione nel cinema d’autore. Si ribalta la situazione per Luca Corbara: Argentero purtroppo manca dell’espressività e della bellissima voce di Ugo Pagliai. E’ un attore televisivo e adatto al cinema nazionale, fatto e consumato entro i confini dello stivale. Ovviamente non ha anni di performances teatrali sul groppone; è soltanto molto più attraente, o così ci sembra poiché la moda può valorizzare diversamente le persone. E’ difficile sfidare e uscire a testa alta in un confronto con un mostro sacro del teatro italiano; purtroppo la stessa situazione di Luca Corbara si ripete col personaggio di Don Mariano. Enrico Lo Verso è bravo, però nel paragone con Adolfo Celi, ci perde. Sarà colpa della minore esperienza dovuta all’età dell’attore, e anche del fatto che la versione di Celi aveva una crudeltà dosata con intelligenza unita alla scarsa avvenenza di un uomo anziano, sovrappeso e poco passionale. Lo spettatore poteva capire il dramma di un vecchio fatto cornuto mentre il barone di Lo Verso è un uomo piacente, che potrebbe rivaleggiare col terzo incomodo e che suscita odio fin dal primo momento, prima ancora di dar prova della sua folle crudeltà. La vera sorpresa è il Don Ippolito di Lando Buzzanca. L’attore siciliano ha potuto, dopo anni di cinema pecoreccio a base di donnine spogliate, sesso e corna, o avanspettacolo, permettersi un ruolo di serie A. E’ probabilmente il personaggio più bello della storia, moderno nella sua apertura mentale, capace di accettare anche spiegazioni non razionali dopo aver esplorato le tante possibilità.
Il remake funziona, nei limiti di quanto possono funzionare i prodotti della televisione moderna. Mezzo secolo fa le trasmissioni nascevano per durare, per essere riproposte durante gli anni successivi, magari inizialmente in prima serata e poi nel tardo pomeriggio o in estate. Oggi le proposte sono tantissime, e ammesso che riescano a non venire cancellate se l’audience è basso, pochissime riescono a diventare dei cult indimenticabili. Quasi tutte sono improntate all’intrattenimento leggero e veloce, più vicino al linguaggio del grande schermo, sono carine e dimenticabili. Difficile attendersi qualcosa di diverso dalle produzioni italiane, però come remake La Baronessa di Carini è abbastanza riuscito, grazie allo sforzo di modificare i personaggi e l’epilogo in modo radicale, e grazie alle stupende locations utilizzate. Alcune sono situate in Sicilia, a Erice, nella Piana degli Albanesi, altre sfruttano monumenti di interesse storico come la Villa de Cordoba a Palermo, Villa Palagonia a Bagheria, Villa Wirz a Partanna, Palazzo Mirto, il castello di Mussomeli. Ci sono palazzi nobiliari del Lazio: Palazzo La Grua è in realtà Palazzo Massimo ad Arsoli, le grotte dei Beati Paoli sono nei pressi di Oriolo Romano e a Nepi. La valorizzazione delle bellezze paesaggistiche è sicuramente una marcia in più per questa miniserie, un po’ come i bei paesaggi siciliani hanno fatto metà della fortuna del detective Montalbano. La bella confezione di questa miniserie, la fotografia curata, il montaggio che fa miracoli per valorizzare le interpretazioni hanno dato vita a un prodotto che non sfigura troppo, a meno di non essere inguaribili nostalgici.
Chianci Palermu, chianci Siracusa,
a Carini c'è lu luttu d'ogni casa.
Attorno a lu Casteddu de Carini,
ci passa e spassa u beddu cavaleri,
lu Vernagallu di sangu gintili
ca di la giuvintù l'onuri teni.
"Amuri chi mi teni a tu' cumanni,
unni mi porti, duci amuri, unni?"
Vidu viniri 'na cavallaria.
Chistu è me patri chi veni pi mmia,
tuttu vistutu alla cavallarizza.
Chistu è me patri chi mi veni a mmazzà.
Signuri patri, chi vinisti a fari?
Signora figghia, vi vegnu a mmazzari!
Lu primu corpu la donna carìu,
l'appressu corpu la donna murìu.
Nu corpu a lu cori, nu corpu 'ntra li rini,
povera Barunissa di Carini!
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