Buongiorno, oggi vi parlo di una miniserie Netflix, tratta da un grande classico della letteratura
Ciò che il protagonista non riesce a comprendere è che non è più lui a controllare l'andare del mondo: le grandi decisioni non si prendono a Palermo, ma a Torino; una nuova generazione di giovani sta crescendo, con delle idee meno conservatrici e un senso diverso dell'onore; e soprattutto un manipolo di arrivisti, arricchiti e arrampicatori sociali cerca di fare le scarpe alla vecchia aristocrazia, grazie all'unica cosa che conta davvero nel nuovo Regno - il denaro. La serie, dunque, è il racconto della graduale scomparsa del nobile Gattopardo, il cui giogo sul borgo di Donnafugata viene piano piano eroso dall'andare degli eventi, tanto lentamente quanto inesorabilmente. Per mostrare il decadimento della nobiltà borbonica, la serie si destreggia abilmente su almeno due piani, ovvero quello politico e quello strettamente famigliare.
L'intreccio è godibile, mentre le frequenti sovrapposizioni tra un mondo e l'altro conferiscono dinamismo e ritmo alla narrazione - merito, ovviamente, di un materiale di partenza semplicemente superlativo, che non soffre troppo dell'adattamento sul piccolo schermo. Come spesso accade in questi casi, però, la riduzione a una serie televisiva (anzi, una miniserie da sei episodi, per una durata inferiore all'ora ciascuno) non è indolore. Dei tagli ci sono, anche perché ad alcuni personaggi (Angelica su tutti) viene riservato uno spazio maggiore rispetto al romanzo originale. E si vede: la perfezione dell'opera di Tomasi di Lampedusa non è replicata nel comparto narrativo della serie Netflix, che fatica un po' nei due episodi centrali e che tende a farsi troppo frettolosa verso la fine. Come spesso accade, gli episodi migliori restano il primo e gli ultimi due, mentre a cavallo tra il terzo e il quarto si verifica un certo appiattimento che potrebbe scoraggiare gli spettatori meno appassionati.
L'ampio spazio riservato a Concetta Corbera e Angelica Sedara dipende chiaramente dal fatto che a interpretarle sono state chiamate due attrici di primo piano.
Da una parte abbiamo Benedetta Porcaroli, che si conferma uno dei volti in più rapida ascesa del cinema italiano con una prova di recitazione di qualità. Dall'altra, invece, c'è una Deva Cassel che - lo diciamo con grande rammarico - sembra essere stata calata dall'alto dentro la serie al fine di attirare qualche spettatore in più. Capiamo le ragioni dietro il suo casting: il suo sguardo ammaliante è perfetto per un personaggio seducente e fascinoso come quello di Angelica. Ma, al contempo, la sua voce stona un po' a confronto con il pesante accento di tutti gli altri personaggi, e non sempre la sua recitazione ci è parsa adeguata al contesto della Sicilia del secondo Ottocento. Ciò che è certo è che non possiamo parlare del Gattopardo come di una serie "al femminile", perché non lo era il romanzo originale e non lo è neanche il suo adattamento. Concetta e Angelica sono certamente due donne forti e risolute, ma entrambe ruotano costantemente attorno all'imperiosa figura del Gattopardo, che ricopre un ruolo così importante nella storia da fondare (per opposizione o per similitudine) l'intera caratterizzazione dell'ampio cast di supporto. Cast di supporto che - e questo è un grande pregio della scrittura del serial - viene utilizzato solo quando necessario, senza infarcire la narrazione di dettagli superflui e soprattutto senza quelle lente presentazioni che contraddistinguono molte altre serie TV: la famiglia dei Principi di Salina entra in scena solo quando necessario, senza far rumore, ed esce di scena in maniera altrettanto composta.
Al massimo, possiamo segnalare alcuni momenti e alcuni dialoghi piuttosto forzati e degli scivoloni da soap opera sparsi qua e là nella serie (soprattutto nella prima metà), che tradiscono una gestione leggermente dozzinale della componente sentimentale della trama - e soprattutto della presentazione al pubblico di Angelica. La parte più prettamente storica della produzione, invece, è il suo fiore all'occhiello: l'aria che si respira è effettivamente quella di Sicilia del XIX secolo, brevemente intervallata in una parentesi con una lugubre Torino, la cui distanza dalla bucolica Donnafugata viene resa in maniera evidentissima (forse persino un po' grossolana) con un gioco di colori che separa chiaramente le calde e sature ambientazioni meridionali dalle buie e grigie città del settentrione.
Del comparto tecnico non fanno invece impazzire le luci, troppo artificiose e "finte", almeno all'inizio: anche qui, come per il resto della serie, dobbiamo segnalare una graduale ripresa dopo il tornante dell'episodio 3, che sfocia in alcune scelte estetiche gradevoli e, per certi versi, frizzanti, verso la fine della storia. Plauso alle musiche, ai costumi e alle ambientazioni, tutte curate nei minimi dettagli e capaci, da sole, di nobilitare la rievocazione storica operata da Netflix e dal suo team italo-inglese di produttori, registi, scrittori e attori.
Il Gattopardo è una buona serie TV: non è perfetta, a causa di qualche scivolone estetico, narrativo e di gestione degli attori dei dialoghi, ma non è neppure una cattiva produzione. La miniserie si fa guardare dall’inizio alla fine, con un doppio episodio conclusivo di qualità nettamente superiore ai quattro precedenti. Il materiale di partenza è ottimo, perciò non stupisce che proprio la narrazione sia il punto forte dell’adattamento. Bene anche le performance di Kim Rossi Stuart e di Benedetta Porcaroli. Meno bene Deva Cassel, anche se non per colpe proprie: sembra un po’ un pesce fuor d’acqua, nella Sicilia del XIX secolo. Attenzione solo a non farvi troppe aspettative: questo non è il remake della pellicola di Luchino Visconti del 1963, né nella forma né nell’anima.
La mia valutazione
Alla prossima
Luce <3
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