sabato 28 settembre 2024

Recensione serie "Sevenwaters", Juliet Marillier

 


Autrice: Juliet Marillier

Titolo: L'erede di Sevenwaters

Serie: Sevenwaters #4

Prezzo: 17,10   e-book 9,99

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Serie Sevenwaters:

1)La Figlia della Foresta

2)Il Figlio delle Ombre

3)Il Figlio della Profezia

4)L'Erede di Sevenwaters

5)Seer of Sevenwaters

5,5)Twixt Firelight and Water

6)Flame of Sevenwaters


«Quando è tempo che il bambino nasca, ve ne prego, non lasciate

morire mia madre.» Un altro nastro, più in alto, tra i rami costellati di verdi

germogli primaverili. «E per favore, fate sì che il bambino sia sano.» E un

terzo, fatto scivolare tra ramoscelli che mi graffiarono la pelle e fecero

sgorgare qualche goccia rosso vivo. «E se potete, fate che sia maschio. La

mamma desidera un figlio maschio più di ogni altra cosa al mondo.»



Trama

Nella foresta di Sevenwaters gli abitanti umani e quelli dell'Altro Mondo convivono fianco a fianco, separati da un velo sottile. Fino alla primavera in cui Lady Aisling dà alla luce un altro figlio, un nuovo erede per Sevenwaters, e tutto cambia. Presto infatti la gioia si tramuta in disperazione: il piccolo Finbar viene scambiato con un essere magico di cui solo Clodagh riconosce la natura. Sconvolta dal rapimento del fratellino, la giovane capisce che spetta a lei rimettere le cose a posto, per la sua famiglia e per tutta la gente di Sevenwaters. Per riuscirci deve entrare nell'oscuro Altro Mondo, dove l'aspetta il confronto con il potente principe del Popolo Fatato che lo governa… e con sentimenti altrettanto potenti.



«Questa dev’essere una delle tante cugine di Johnny: ne è la prova il
rosso accecante dei capelli. Mi domando quale sia. Non è la bambina, non è
la veggente, e neanche la maggiore, che già conosciamo. E quella
menomata sta a Harrowfield. Non può essere neppure la giovane che andrà
in sposa domani. Ne deduco che è quella che hai menzionato più volte di
quanto non sia lecito, Aidan. Per cosa hai detto che aveva talento? Oh, già,
doti domestiche, lavare e cucinare, quel genere di cose.» Ostentò uno
sbadiglio. «Perdonami, ma non riesco a immaginare niente di più noioso.»

Recensione

Ebbene sì, finalmente sono riuscita a leggere il quarto volume di questa serie, e resto in attesa dell'uscita del quinto, e ahimè, penultimo. Ma vediamo di parlare di questo, visto che l'ho appena concluso.

Clodagh è la figlia di mezzo delle sei avute da Sean, signore di Sevenwaters, e Aisling. Le tre eroine precedenti – Sorha, Liadan e Fainne – sono state caratterizzate da una forte impronta magica, specialmente in quest’ultima. E se nessuna è una guerriera, tutte sono state scelte per portare a compimento la volontà del Popolo Fatato, che ha implicitamente riconosciuto in loro le capacità di portare a termine il loro compito.

Clodagh non è nulla di tutto questo. Non è una guaritrice come sua sorella maggiore Muirrin, non è una veggente come la sorella Sibeal. Clodagh è una donna di casa, una giovane educata ad essere la moglie di un signore, addestrata a tenere salde le redini di una grande casa. Ed è proprio questo che viene richiesto a Clodagh quando la madre, inaspettatamente, rimane nuovamente incinta. Ed è un maschio, Aisling se lo sente, è l’erede che non ha mai potuto dare all’amato marito, è un dono degli dei. Ma è anche un pericolo, come tutti sanno, perchè Aisling è ormai in là con gli anni e in casa tutti temono per la salute sua e del bambino. Contemporaneamente, si deve organizzare il matrimonio di Deirdre, la gemella di Clodagh, e aiutare il padre a gestire le tensioni con i capitribù del nord, offesi da questo matrimonio, che non può che essere un’importante tassello nel gioco di alleanze delle casate di Erin.

Clodagh deve gestire tutto questo e lo fa bene, fino alla nascita del bambino, l’erede di Sevenwaters, Finbar (e chi ha letto la precedente trilogia, non potrà che sorridere nel leggere questo nome). Ma Finbar scompare ben presto in circostanze misteriose; al suo posto, un neonato fatto di bastoncini e pietruzze e che solo Clodagh riesce a vedere per quello che è: un changeling, una figura del folklore irlandese, un bambino fatato in cambio di un bambino umano. Il Popolo Fatato ci ha messo lo zampino, ma nessuno crede a Clodagh, che si ritrova ben presto invischiata in una storia di sospetto e tradimento, dolore, e senso di colpa. Determinata a riportare a casa il fratellino, Clodagh parte alla ricerca dell’Altro Mondo, il Mondo Fatato, con solo un piccolo changeling, la sua intelligenza, un pugno di storie e un guerriero di Inis Eala ad accompagnarla.

Le basi della storia sono queste e, come vedete, sono affascinanti. Per la prima volta, una Figlia di Sevenwaters deve affrontare coloro che sono da sempre stati loro protettori. Ma il futuro riserverà sorprese su vari fronti e Clodagh non sa più di chi fidarsi e di chi no.

Ancora una volta, la scrittura elegante e precisa di Juliet Marillier tesse un arazzo affascinante e prezioso e pieno di ombre. La verità è custodita nelle storie e l’amore è dove meno te l’aspetti. Ad esempio in un changeling, il piccolo Becan, brutto, invisibile agli occhi di quasi tutti, scadente scambio con il piccolo Finbar. Eppure Clodagh lo ama, lo cura, gli fa da madre. La trama che coinvolge Becan è, credo, la più poetica e commovente di tutto il romanzo. E lascerà una piccola ferita, nella dolcezza e nell’amarezza del finale.

Altro personaggio che mi ha veramente colpita al cuore è stato Cathal, il Ragazzo-Lupo della storia di Willow, dilaniato tra due mondi, fuori posto in entrambi. Alla fine, anche lui troverà una casa, a dispetto della sua fragilità, della sua paura. E, per una volta, i ruoli si invertiranno. Cathal difende Clodagh per tutto il loro viaggio eppure, alla fine, è lei che sfida il destino per portare in salvo l’uomo che ama. Il coraggio di Clodagh, ancora una volta, mi ha toccata, perché è la forza del debole. Clodagh non è una guerriera, né una guaritrice, né una veggente; non sa combattere, non sa nuotare, non conosce la strada o il futuro e non ha abilità particolari con le quali sfuggire alle insidie. Eppure saranno il coraggio del suo animo e la forza del suo amore a vincere la paura e, in definitiva, l’oscurità.

Mi ha poi colpita anche il personaggio di Mac Dara, il volubile, oscuro principe del Popolo Fatato. I Fae vengono delineati dalla Marillier con una maestri incredibile: simili agli umani ma, in definitiva, profondamente diversi. Eppure, nonostante tutto, anche loro vittime di sentimenti che li soverchiano, oltrepassano ogni limite. A modo loro, certo, con più crudeltà, più indifferenza per i destini umani, ma ugualmente potenti.

La mia valutazione

Alla prossima
Luce <3




Finbar emise un piccolo vagito, che mi fece irrigidire allarmata. La voce
era diversa, come sbagliata. Non era il richiamo di un bimbo sano e
affamato, ma un suono stranamente rauco e penoso. Nessun bambino
normale avrebbe emesso un suono del genere. Finbar doveva essere malato.
Stava soffocando, non riusciva a respirare… Balzai in piedi e mi precipitai
alla culla, il cuore in gola. Abbassai lo sguardo, con l’immagine del mio
fratellino ancora fresca nella mente: le dita delicate, le morbide palpebre, la
pelle color pesca e la bocca un bocciolo di rosa. Sentii il mio cuore dare un
unico tonfo selvaggio e poi restare immobile. Il gelo mi invase. Finbar era
sparito. Tutto ciò che giaceva nella culla era un bizzarro miscuglio di
bastoncini e sassi, foglie e muschio.
Il bambino non poteva essere lontano. “Respira” ordinai a me stessa,
costringendomi a non cedere al panico. Non poteva nemmeno essere fuori
dalla stanza, perché prima era nel cesto, l’avevo visto coi miei occhi, e non
mi ero mai allontanata dalla soglia. Finbar era sempre stato in vista, anche
quando ero uscita dalla porta. Me ne ero assicurata. Tranne… tranne che per
un paio di istanti, quando la mia attenzione si era concentrata su Cathal.
Tranne quando mi aveva baciata. Eppure anche in quel momento nessuno
avrebbe potuto passarmi accanto inosservato: ero sempre stata sulla soglia.
Il mio fratellino doveva essere lì dentro. Doveva per forza.
Mi misi alla frenetica ricerca, avendo ben presente che nella stanza non
c’era posto dove un neonato potesse restare nascosto per più di un istante.
Sotto la pila di asciugamani. Dietro la panca. Nella nicchia. Niente. Il cuore
mi batteva all’impazzata. Il terrore mi faceva sudare la pelle. Com’era
possibile? Come poteva essere scomparso? Non gli avevo quasi mai levato
gli occhi di dosso. “Dev’essere un brutto sogno. Fate che mi svegli, ora, ve
ne prego, ve ne prego.” Fu solo dopo quella che mi parve un’eternità
passata ad arrovellarmi e a perlustrare ogni angolo che mi ricordai del
suono che avevo sentito provenire dal cesto. Bastoncini e sassi non gemono.
Forse l’intera faccenda era stata un’allucinazione. Forse il Popolo Fatato mi
aveva inviato una qualche forma di visione maligna. Mi costrinsi a fare due
profondi respiri, poi mi avvicinai di nuovo al cesto.
Il mucchietto di bastoncini e sassi giaceva ancora lì, sul chiaro
lenzuolino. Non era stata una visione, quindi. Il cuore sprofondò di nuovo,
pesante come piombo. Finbar era sparito. Dovevo chiedere aiuto, dovevo
avvertire…
Il suono riprese di nuovo, un pianto lamentoso e stridulo come la parodia
di una voce di bimbo. E i sassi e bastoncini si stavano… si stavano… Fui
assalita dal voltastomaco. Mi costrinsi a guardare: vidi palpebre muscose
aprirsi su occhi di sasso, una boccuccia fatta di ramoscelli che si stirava per
rivelare gengive marroni simili a corteccia, e due mani con bastoncini
secchi a mo’ di dita protese verso di me, come per implorare il conforto di
un abbraccio. Già la cosa stava piangendo, aveva fame. Scalciando si liberò
dalle coperte – le soffici coltri del mio fratellino – per mostrare un corpo
simile a quello di un neonato, ma bizzarramente composto dai detriti della
foresta, un rametto di sorbo qui, una foglia marrone là, un cuscinetto di
muschio, una liscia pietra screziata di bianco e nero. La testa non era
coperta da folti capelli sottili come quelli di Finbar ma da una zazzera
all’apparenza fatta di piume prese dal petto di un corvo. Anche la voce
sembrava quella di un corvo, e gracchiava sempre più forte la sua richiesta
di attenzione. Mi diedi un pizzicotto forte sul braccio, ma non ci fu altro che
un crescendo di quelle stridule grida. Ero sveglia, ed era tutto vero.
Qualcuno aveva preso mio fratello, il tanto desiderato figlio di Sevenwaters,
dono degli dei a mia madre, e al suo posto aveva lasciato il più brutto
neonato mai scambiato in una culla.




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